Previsto dalla bozza della Legge di bilancio 2026, l’aumento della soglia di esenzione dei buoni pasto elettronici da 8 a 10 euro è stato presentato come una nuova misura per sostenere il potere d’acquisto dei lavoratori.
Un’iniziativa importante, ma che ci obbliga a porci una domanda: questa scelta rappresenta davvero un beneficio per i dipendenti e la comunità, oppure alimenta un sistema di intermediazione che sottrae risorse?
Vero è, infatti, che i buoni pasto muovono oltre 4 miliardi di euro l’anno tramite una filiera complessa, con commissioni che fino a poco tempo fa arrivavano fino al 20% e che ancora oggi pesano su imprese ed esercenti.
In questo articolo vediamo, quindi, come funziona davvero il mercato dei buoni pasto, quali sono i costi nascosti di questo strumento, chi beneficia realmente dell’aumento e quali alternative di welfare aziendale possono determinare un impatto più concreto sul benessere dei dipendenti.
Sommario
- Il mercato dei buoni pasto: un giro da 4 miliardi di euro
- Le commissioni: i costi nascosti del sistema dei buoni
- I limiti dei buoni pasto nel welfare aziendale
- Alternative più efficaci per il potere d’acquisto
- I vantaggi di una strategia welfare consapevole
- Welfare e benessere aziendale: scegli NOI!
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Il mercato dei buoni pasto: un giro da 4 miliardi di euro
I buoni pasto sono uno degli strumenti di welfare più diffusi in Italia, con circa 3,5 milioni di lavoratori li utilizzano quotidianamente, generando un giro d’affari di che raggiunge e supera i 4 miliardi di euro all’anno.
Quella che sembra una semplice soluzione per la pausa pranzo è, in realtà, una macchina complessa che genera profitti tramite meccanismi che pochi conoscono a fondo: commissioni sugli esercenti, sconti praticati ai datori di lavoro, margini finanziari derivanti dai buoni non spesi.
Come imprenditore, quando si valuta se adottare i buoni pasto per la propria azienda è importante sapere che questo strumento ha una filiera lunga e costosa, dove una parte significativa del valore viene intercettata dagli intermediari, prima di tradursi in potere d’acquisto per i dipendenti.
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Le commissioni: i costi nascosti del sistema dei buoni
Per anni, il sistema dei buoni pasto è stato sostenuto da commissioni applicate agli esercenti molto superiori a quelle di qualsiasi altro mezzo di pagamento. Nel mercato privato si arrivava, infatti, al 14-20%, mentre nelle gare pubbliche si superava il 22%. Solo di recente, attraverso un apposito intervento normativo, il tetto massimo è stato fissato al 5%, andando a ridurre un’anomalia che drenava milioni di euro all’anno.
Prima dell’introduzione del tetto, la filiera intercettava fino a 400 milioni di euro extra all’anno, ora scesi a circa 200 milioni. Ciò significa che una parte dell’investimento in welfare aziendale non arriva ai dipendenti, né rimane nella comunità locale, ma alimenta il circuito di intermediazione.
La domanda da porsi, quindi, è: esistono alternative più efficienti?
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I limiti dei buoni pasto nel welfare aziendale
I buoni pasto sono uno strumento utile, ma soffrono di limiti strutturali che ne riducono l’efficacia come forma di welfare aziendale, tra cui:
- la rigidità: vincolano la spesa alla ristorazione e la grande distribuzione, escludendo le altre necessità dei lavoratori
- il costo complessivo per l’azienda: tra il valore facciale, le commissioni di gestione e i costi amministrativi, il valore erogato in buoni pasto risulta meno efficiente di quello di altre forme di benefit
È importante, quindi, che un’azienda che desidera massimizzare l’impatto sul benessere dei dipendenti si domandi se esistono strumenti di welfare più flessibili, più inclusivi e meno costosi dei buoni pasto, i quali permettano di rispondere meglio alle reali esigenze dei dipendenti.
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Alternative più efficaci per il potere d’acquisto
Come detto poc’anzi, esistono benefici alternativi ai buoni pasto capaci di aumentare ben più significativamente il potere d’acquisto dei lavoratori.
Pensiamo, ad esempio, ai fringe benefit, ovvero compensi in natura erogati sotto forma di beni e servizi, tra i quali spiccano i contributi per:
- l’affitto
- le utenze domestiche
- la mobilità e i trasporti
- l’istruzione
- i servizi per la famiglia
Esiste, poi, la possibilità di sviluppare un piano di welfare aziendale flessibile in cui siano previsti crediti spendibili dal dipendente in molteplici ambiti (salute, istruzione, mobilità, servizi previdenziali, ecc.), così che lo stesso possa adattare il benefit ai propri bisogni reali.
La terza e ultima strada consiste nel combinare diversi strumenti in modo strategico: un mix calibrato di benefit fiscalmente ottimizzati che risponda efficacemente alle differenti esigenze della popolazione aziendale, massimizzando il valore percepito senza aumentare i costi.
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I vantaggi di una strategia di welfare consapevole
Quando si struttura il welfare aziendale in modo strategico, anziché limitarsi a concedere i buoni pasto solo perché “così fan tutti”, i vantaggi fiscali e operativi per l’impresa si diventano concreti e misurabili:
- maggiore efficienza economica: un euro investito in benefit ben progettati genera più valore di un euro investito in benefici standard
- migliore attrattività e retention: un piano di welfare personalizzato comunica attenzione alle persone e alle loro esigenze reali, aumentando la soddisfazione e riducendo il turnover
- pieno controllo dei costi: è possibile definire budget chiari, evitare sprechi e misurare il reale impatto degli investimenti
- massimo sfruttamento dei vantaggi fiscali: strutturando correttamente benefit, contributi e servizi si può ridurre il cuneo fiscale in modo legittimo e vantaggioso per entrambe le parti
- maggiore differenziazione dai competitor: mentre i concorrenti offrono il solito “pacchetto di benefit standard”, è possibile costruire un’offerta di welfare che rappresenti davvero un elemento distintivo nella strategia di people management
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Welfare e benessere aziendale: scegli NOI!
Il welfare aziendale non è una voce di spesa da gestire con il pilota automatico, né una scelta da fare perché “bisogna dare qualcosa ai dipendenti”. È, piuttosto, una leva strategica che, se progettata con consapevolezza, può migliorare il benessere delle persone, generare un notevole risparmio sui costi e aumentare l’appeal della propria impresa.
L’aumento dei buoni pasto da 8 a 10 euro è una misura che può avere senso in alcuni contesti, ma non dovrebbe essere l’unica risposta alle esigenze dei dipendenti. Quello che serve è un approccio strategico: analizzare il budget, comprendere le reali necessità della popolazione aziendale, strutturare un mix di benefit che massimizzi il valore percepito dai dipendenti e, nel contempo, sfrutti tutti i vantaggi fiscali disponibili.
Se desideri costruire una strategia di welfare per la tua impresa, prenota una consulenza. Insieme, analizzeremo la tua situazione e ti mostreremo come far diventare il welfare aziendale un vero vantaggio competitivo.

CEO di NOI Srl e consulente del lavoro. Porto il welfare nelle aziende e creo contenuti digitali per chi desidera ottenere risultati attraverso il benessere lavorativo.



























